Il Monfalcon di Forni dalla Forcella del Leone

Scalare i castelli di sabbia: Monfalcon di Forni, 2453 m

Le Dolomiti non sono famose per la qualità della roccia di cui sono composte, e in mezzo a tale marciume gli Spalti di Toro e i vicini Monfalconi sono particolarmente famigerati per la loro precarietà. Gli immensi ghiaioni che ricoprono le pendici di questi monti testimoniano la costante azione erosiva a cui essi sono sottoposti, che li rende tanto belli da ammirare, con le loro guglie aguzze, quanto problematici da scalare. Il Monfalcon di Forni non fa eccezione: pur non essendo particolarmente difficile dal punto di vista tecnico (il passaggio chiave viene dato come II°/III-° in base alla relazione), la salita è complicata da pietre instabili e appigli da verificare scrupolosamente.

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Il Cadin d’ Arade

Parto dal rifugio Padova la mattina del 9 settembre, e mi incammino lungo il sentiero che risale la Val d’ Arade diretto verso la panoramica Forcella Monfalcon di Forni, punto di attacco della salita. L’ avvicinamento è interminabile, ma la bellezza della valle rende più sopportabili i 1000 m di dislivello necessari per arrivare in forcella. Ogni tanto il bosco si dirada, permettendo alle guglie rocciose del Cridola e agli Spalti di Toro di far capolino tra i rami, fino a che verso il bivio per Forcella Montanaia cede il passo alla mugheta permettendomi di apprezzare al meglio il Cadin d’ Arade in cui sto entrando.

Questa seconda metà dell’ avvicinamento è la più faticosa, svolgendosi in buona parte per pietraie e ghiaioni, ma è anche la più suggestiva. Alla mia sinistra, sfilano silenziose le forme aguzze della Scala Grande e del Crodon di Giaf, mentre a destra incombono aspre e tetre le ultime propaggini degli Spalti di Toro, a cui fanno seguito i Monfalconi: il Monfalcon di Montanaia, Cima d’ Arade e Punta Koegel. In fondo, il Monfalcon di Forni e il Monfalcon di Cimoliana fanno la guardia alla forcella. Un branco di camosci pascola in lontananza tra le ghiaie del versante opposto, balzando con agilità sul terreno ripido come per schernire il sottoscritto che suda e si affanna lungo il sentiero.

Val Monfalcon di Forni dalla forcella
Val Monfalcon di Forni dalla forcella

Arrivo in forcella e mi fermo a riprendere fiato, approfittandone per fare qualche foto. Il panorama è incredibile: alle mie spalle il Cadin d’ Arade con l’ Antelao e il Pelmo a fare da sfondo, misericordiosamente sgombri dalle nuvole, davanti la Val Monfalcon di Forni delimitata dalla Cresta del Leone, con in mezzo la macchia di verde in cui spicca il puntino rosso del bivacco Marchi – Granzotto. Più in là, in fondo alla valle, le cime del ramo di Brica e del Pramaggiore, tra cui spicca una bassa cuspide isolata ed aguzzissima, probabilmente collegata a qualche cresta più ampia. Tiro fuori imbrago e caschetto e mi preparo ad affrontare la salita.

Si inizia tornando indietro verso il Cadin d’ Arade per una decina di metri; appena sotto alla forcella una traccia con ometto si stacca sulla destra andando ad aggirare un torrione roccioso, per poi scendere ripidamente verso l’ imboccatura di un canalone franoso che scende dalla forcella tra il Monfalcon di Forni e il Crodon di Giaf. Questo è il punto d’ attacco vero e proprio. Il fondo del canalone è ricoperto di detriti oscenamente instabili, ed essendo il canalone scosceso e interrotto da salti di roccia uno scivolone potrebbe risultare piuttosto antipatico. Mi tengo sulle rocce appoggiate che compongono il fianco destro del canalone, moderatamente esposte ma un poco più solide e pulite, e salgo traversando verso sinistra fino a raggiungere una zona meno pendente del canale, poco sotto la forcella. Da qui, una traccia porta a destra per una cengia che dopo pochi metri si esaurisce in un pulpito che offre una buona visuale su Forcella Monfalcon di Forni e il sovrastante Monfalcon di Cimoliana.

Monfalcon di Cimoliana sopra Forcella Monfalcon di Forni
Monfalcon di Cimoliana sopra Forcella Monfalcon di Forni

Sono arrivato al primo punto “tecnico”, una paretina di 5 m di II° da risalire a fianco di un caminetto stretto e umido. La roccia non ispira troppa fiducia, ma gli appigli non mancano e vado su senza particolari problemi. Trovo un cordino da calata con maglia rapida su un masso, ma il nodo con cui è legato non mi convince e preferisco lasciarlo perdere. Continuo per sfasciumi aggirando due torrioni rocciosi, mentre il Cridola si mostra imponente dietro al Crodon di Giaf, affiancato da varie guglie e torri. La traccia si incassa in una sorta di trincea tra le rocce, per poi condurre in traverso verso sinistra per roccette appoggiate di I°, solide ma piuttosto sporche.

Arrivo in breve all’ ultima difficoltà: per raggiungere la cima bisogna affrontare un canalino di II° che in cima diventa un diedro verticale e poco appigliato attorno al III-°, in totale forse 10 m, oppure salire per rocce sporche forse un pelo più facili sulla destra, con il rischio di prendersi un sasso in testa. Scelgo il diedro, che all’ inizio si rivela un po’ tosto ma riesco a risalire sfruttando in opposizione una provvidenziale fessura al suo centro. In cima trovo un cordino su uno spuntone per la calata, che sembra discretamente recente ed affidabile. Ancora pochi passi su roccette e sfasciumi e sono in vetta.

Crodon di Giaf e Cridola dalla vetta
Crodon di Giaf e Cridola dalla vetta

Con mio disappunto, non trovo un libro di vetta, ma la vista è fantastica e ripaga ampiamente il lungo avvicinamento e la roccia poco sicura. Pelmo e Civetta si vedono ancora in lontananza, mentre l’ Antelao è nascosto dal Crodon di Giaf, vicino quasi da poterlo toccare. Il magnifico castello del Cridola mi impressiona particolarmente: prima che venga l’ inverno, conquisterò anche quello. Oltre di esso, sbucano le montagne sopra Auronzo e il Comelico, tra cui spicca il triangolo isoscele perfetto della Terza Grande, più a est i monti della Carnia e i monti austriaci confusi in lontananza. A sud ovest, i bastioni frastagliati degli Spalti di Toro.

Il cielo si sta rannuvolando, e per quanto non sembri preoccupante inzio la discesa. Supero il diedro con una doppia dallo spuntone alla sua sommità. Probabilmente potrei disarrampicare ma preferisco non rischiare, inoltre è la prima volta che mi calo in ambiente e voglio fare esperienza. Percorro con cautela le roccette sotto la cima e il terrazzo ghiaioso sottostante, arrivando al salto di roccia sopra alla cengia, che scendo senza corda abbastanza facilmente. Tornato al canalone, tento di scendere per le ghiaie centrali; una scarica di sassi mi riduce a più miti consigli e decido di scendere giù per le roccette da cui sono salito. Di ritorno in forcella, metto via l’ armamentario da roccia e valuto cosa fare col tempo che mi rimane.

 

Il Portonat
Il Portonat

Essendo troppo tardi per scendere fino al Porton dei Monfalconi, magnifico arco di roccia poco sotto al bivacco Marchi – Granzotto, opto per la vicina Forcella del Leone, da cui si dovrebbe vedere da una bella prospettiva la cima che ho appena scalato. Il sentiero per raggiungere la forcella sembra in buona parte franato, e richiede un po’ di attenzione per qualche passo appena esposto, ma in breve sono alla meta, in cima all’ idilliaca Val Monfalcon di Cimoliana.

Da qui, il tozzo Monfalcon di Forni ha un aspetto del tutto diverso, con due spuntoni di roccia protesi verso l’ alto come il becco aperto di un rapace. Di fianco a me noto anche il Portonat, una bizzarra rientranza squadrata nella parete del Monfalcon di Cimoliana che riporta alla mente immagini di miniere naniche e che segna il punto di attacco per la normale a questa montagna, che lascio per un altro giorno.

Ancora qualche momento di contemplazione e imbocco la lunga via del ritorno, concedendomi una pausa per raccogliere una manciata di bacche di ginepro per fare la grappa. Arrivato al rifugio Padova, mi bevo una birretta celebrativa e scambio qualche parola col gestore, a cui chiedo consigli per le future escursioni in zona, poi mi avvio verso casa giusto in tempo per la cena.

 

Il sole sbuca dietro ai Monfalconi
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