La cresta che congiunge Cima Leadicia al Burlaton, dalla vetta di quest'ultimo.

Due giorni per greppi con l'Orso Gongo: In cresta dal Burlaton a Cima Leadicia

Nella vasta porzione del Parco delle Dolomiti Friulane compresa tra il Canal Piccolo di Meduna e la muraglia di cime che dalla Forcella del Cuel va a terminare nel Frascola orlando con lungo arco il corso del torrente Meduna non esistono sentieri ufficiali. I centri abitati più vicini sono a parecchi chilometri di distanza, e la copertura telefonica è pressoché nulla. Le cime hanno nomi esotici dall’etimo incerto, spesso non riportati sulle cartine e tramandati dai pochi frequentatori della zona, e i percorsi per accedervi sono intricati e laboriosi. Persino le informazioni compilate da Fradeloni nel relativo capitolo della guida alle Dolomiti Orientali del Berti sono alquanto frammentarie, hic sunt rupicapræ. È forse l’ultima area nelle Dolomiti dove si può fare vera esplorazione e Ongo, l’Orso Gongo, Giorgio Madinelli della Tana dell’Orso, ne è il massimo esperto.

Da due anni a questa parte Ongo organizza in giugno la Greppata, un’escursione di due giorni nel suo stile ardimentoso e fortemente esplorativo, nella zona grigia tra escursionismo e alpinismo fatta di passaggi esposti da camosci, terreni insidiosi e arrampicata facile ma delicata spesso in ambiente vegetominerale. L’itinerario proposto per l’edizione di quest’anno era la traversata da Casera Senons a Casera Charpin passando per la cresta erbosa che congiunge il Burlaton a Cima Leadicia e separa il Canal Grande di Meduna dalla Val del Vuar e dal Canal Piccolo, tornando indietro il giorno successivo per il vecchio sentiero CAI 393 – dismesso da decenni – che corre sulle sponde del Canal Grande verso Forcella del Cuel. Come dice Giorgio, un’avventura degna di essere raccontata ai nipoti.

17/06/2017

Il Canal Grande di Meduna da Forcella dal Cuel.

Oltre a me, altri tre baldi greppisti hanno risposto alla chiamata alle armi di Giorgio: Michele, Alberto e il medico della spedizione Claudio. Partiamo da Casera Senons verso le sette di mattina, attraversando l’incantevole Cadin di Senons e salendo quindi a Forcella dal Cuel. Sotto di noi si stende l’ampia ansa verde del Canal Grande di Meduna e la macchia di prato di Casera Cuel, da cui passeremo al ritorno, assediata dai boschi. Sopra di noi, i ripidi verdi con cui il Burlaton digrada verso la forcella, che presto iniziamo a risalire diretti verso la cima. Poco sotto di questa ci attende uno dei passaggi più antipatici della giornata: un canalino non facile di rocce friabili ed erba, discretamente esposto e poco proteggibile.

Salendo verso Cima Ettore.

Superato questo “filtro” siamo in vetta, e il panorama si dimostra inaspettatamente ricco: a dispetto della quota modesta, in lontananza si notano chiaramente il Pelmo, l’Antelao e le Tre Cime. Davanti a noi la cresta lungo la quale stiamo per avventurarci apre con delle roccette dall’aspetto friabile e poco rassicurante, serpeggia verde e affilata per un tratto per poi terminare nelle costole bianchissime e lucenti di Cima Leadicia. Vinto qualche timore iniziale ci avviamo verso le roccette, tanto marce ed esposte quanto apparivano a prima vista ma se non altro tecnicamente facili. Le scaliamo con molta attenzione guadagnando l’antecima est, per poi proseguire verso la quota 2077 m – battezzata Cima Ettore – prima aggirando un salto per un delicato canalino in versante nord e poi camminando sul filo della cresta in ariosa esposizione.

La panoramica cresta tra Cima Ettore e Cima Leandrina.

Il tratto che segue Cima Ettore è quasi rilassante, i prati della dorsale qui sono meno ripidi e ci permettono di distrarci un poco ammirando le stupende fioriture della stagione. Arrivati in prossimità di Cima Leandrina la cresta si fa brevemente rocciosa assottigliandosi alquanto; una provvidenziale cengia inclinata ci permette di infilarci sotto cresta per poi riprenderla dove torna percorribile, dopo un rocambolesco traverso aggrappati alle zolle erbose per oltrepassare un franamento. Ci inerpichiamo per l’ultimo tratto di ripide erbe e conquistiamo anche Cima Leandrina.

Nel mare di mughi, in vista di Cima Leadicia.

La cresta si fa sempre più mugosa e precipita con alti salti rocciosi sopra Forcella Pierasfezza, nostra prossima meta, rendendo impossibile la prosecuzione diretta. Seguendo Giorgio abbandoniamo il filo di cresta e caliamo a sud lungo le ripide pale prative che si affacciano sulla Val del Vuar, per poi tornare a traversare in quota costeggiando la base delle fasce rocciose con una lunga ginnastica di malleoli, al termine della quale raggiungiamo la forcella dove ci fermiamo per un frugale pranzo allietato dalle gemelle Cime Fornezze direttamente davanti a noi.

Vetta Fornezze e Cengle Fornezze da Forcella Pierasfezza.

La salita a Cima Leadicia vista da qui sembra un osso duro, ma Giorgio ci assicura che non c’è nulla di cui preoccuparsi: aggirata a sinistra la prima placconata sopra la forcella iniziamo a salire per un facile canale erboso che ci deposita poco sotto la vetta, raggiungendola quindi dopo qualche metro di roccette appoggiate. Nel barattolo portato su da Giorgio qualche tempo fa troviamo solo le firme di un paio di triestini oltre alle sue: la “normale più lunga a una cima sotto i 2000 m” sembra decisamente poco frequentata. Guardo avanti lungo la cresta, cercando un percorso niente affatto intuitivo tra placche calcaree inerbate che ai miei occhi sembrano assolutamente impraticabili. Eppure Giorgio, calmo come sempre, insiste che passeremo proprio da lì e che non è difficile.

La cresta di Cima Leadicia dalla vetta principale.

Iniziamo la discesa dalla vetta per una placca inclinata in forte esposizione, scendendo con cautela di cengetta in cengetta per poi arrivare a un canalino di roccia liscia che ci crea qualche problema a causa dei ramponcini. Passati Giorgio e Claudio, il resto di noi preferisce attrezzare una breve doppia su un mugo. Come per magia la traccia si rivela ai nostri occhi man mano che avanziamo guidati da Giorgio, tra cenge e paretine esposte e delicate ma effettivamente facili. La cresta sembra infinita, ogni volta che raggiungiamo una cima altre due sembrano spuntare dal nulla davanti a noi. La stanchezza si fa sentire, sia fisica che mentale, ma non possiamo cedere adesso.

Davanti al dente di cresta più ostico.

Raggiungiamo la base di un alto salto di roccia dall’aspetto ostico, una brutta combinazione di erba ripidissima e placche di calcare lisciato dall’acqua. L’idea di salire lì sopra slegato non mi esalta, ma anche qui l’esperienza di Giorgio ci cava d’impiccio: parte in esplorazione verso uno spigolo erboso che sembra perdersi nel nulla, qualche minuto dopo ci urla di seguirlo e ci conduce ad aggirare la muraglia per una facile cengia erbosa battuta dai cervi, che vediamo passare poco sotto di noi. Arriviamo alla sella davanti all’ultimo rilievo di cresta, che sormontiamo con qualche breve passaggio di arrampicata vegetominerale.

La cresta che scende verso Casera Charpin: si punta alla fascia di rocce in fondo.

Da qui il percorso si va gradualmente addolcendo. Dopo un’ultima impegnativa discesa per un canalino di erbe verticali proseguiamo nel bosco tra schianti e fitti arbusti, oltrepassando la radura del Tamer di Leadicia e puntando a una parete rocciosa che sbuca tra gli alberi in lontananza. Qui troviamo il caratteristico Landre da le Caure, antico ricovero di pastori; una lunga discesa nella ripida faggeta per tracce sempre più labili ci fa finalmente approdare alla sospirata Casera Charpin, dove ci rifocilliamo con una cena sostanziosa e ci sistemiamo alla bell’e meglio per la notte.

18/06/2017

Il Clapon dal Limet.

Ci rimettiamo in marcia lungo il corso del Meduna, sulle spalle gli zaini e gli acciacchi del giorno prima. Dapprima il sentiero scorre misericordiosamente in falsopiano, permettendoci di sciogliere le membra ancora indolenzite, poi si inizia a salire gradualmente in sinistra orografica passando a fianco del Clapon dal Limet, ciclopico masso aggettante attrezzato a bivacco neanche troppo spartano. Poco oltre Giorgio ci indica la possibilità di fare una breve deviazione per visitare un tasso secolare, con buone probabilità la pianta più antica della valle.

Il tasso secolare della Val Meduna.

Io e Alberto ci incamminiamo, guidati da Claudio che conosce il percorso, mentre Giorgio e Michele ci aspettano al bivio. Saliamo nel bosco per circa 100 m di dislivello, tra faggi ed enormi macigni calcarei che rendono l’ambiente molto pittoresco, e in mezz’ora di camminata siamo al cospetto del gigantesco tasso, ancora estremamente vigoroso nonostante l’età quasi millenaria. La differenza di dimensioni con il Làres del Bèlo, larice di età comparabile situato in Bosconero, è stupefacente: mentre la crescita del Làres è stata limitata dal magro terreno detritico, il ricco humus del bosco di latifoglie ha permesso a questo tasso di raggiungere un’altezza e una circonferenza del tronco davvero ragguardevoli.

Nei pressi di Casera Cuel.

Tornati al bivio continuiamo a risalire il corso del Meduna, attraversando il greto in prossimità del canale che scende da Forcella Pierasfezza mentre la cresta di Cima Leandrina incombe sopra le nostre teste, meno aerea e impressionante di quanto non sembrasse il giorno prima. Con il passaggio in destra orografica inizia il lungo calvario della Val Meduna: 900 interminabili metri di dislivello in salita ripida e quasi continua fino a Forcella dal Cuel. Dopo i primi 300 metri di faticosissima faggeta raggiungiamo la bucolica radura in prossimità delle sorgenti del Meduna dove sorgono le rovine di Casera Cuel. Qui facciamo rifornimento d’acqua e ci fermiamo per uno spuntino, radunando le forze per lo strappo finale.

La risalita in Forcella dal Cuel.

La salita fino a Forcella dal Cuel è semplicemente brutale. Attacchiamo un ripido costone boscoso, districandoci tra i rami sulle tracce appena intuibili del vecchio sentiero inghiottito dalla vegetazione. Continuiamo per terreno aperto, su prati e macereti, arrancando sotto il sole a picco verso la forcella che sembra non avvicinarsi mai, fino a raggiungerla dopo due ore di marcia estenuante. Siamo fuori dalle terre selvagge: mentre riprendiamo fiato in forcella ne approfittiamo per chiamare casa e avvertire che stiamo bene, poi riprendiamo il sentiero sotto la forcella con una liberatoria corsa giù per i morbidi ghiaioni e lo seguiamo senza fretta fino in Senons, dove ci attende una meritatissima merenda a base di anguria come degna conclusione dell’avventura.

***

Ringrazio di cuore Giorgio Madinelli della Tana dell’Orso, che mi ha fatto scoprire questo spicchio selvaggio di mondo in cui non avrei mai osato addentrarmi da solo e ha curato tutta la parte organizzativa e logistica dell’escursione. Ringrazio anche Michele, Alberto e Claudio, eccellenti compagni d’avventura. Alla prossima ravanata!

Invito chi fosse incuriosito da questo genere di escursionismo a visitare La Tana dell’Orso e il sito della Federazione Italiana Greppisti Anomali, dove sono raccolti i resoconti delle esplorazioni passate e dove vengono pubblicati i bandi per le Greppate annuali.

 

Corno di Senons e Cima di S. Francesco da Casera Senons.
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